giovedì 16 giugno 2022

Salviamo i teenagers


Ovviamente non sto dicendo di formare una Onlus per togliere gli adolescenti dalla strada o da chissà quale male oscuro nascosto nelle caramelle date dagli sconosciuti o nelle sigarette simpatiche. È necessario aiutarli a salvarli da sé stessi. Abbiamo vissuto due anni di pandemia. Due anni in cui le vite di tutti sono state messe in pausa e rimandate a momenti migliori. Qualcuno in quei due anni avrebbe voluto innamorarsi, conoscere il mondo, crescere. Lo stesso qualcuno ha fatto lezione a distanza, ha visto i suoi compagni di classe per due o tre mesi in due anni, ha perso di vista quei contatti con cui magari aveva iniziato ad uscire. Qualcun altro ha aperto un canale Twitch e magari ha fatto della sua passione un lavoro o quantomeno un lavoretto, un'attività redditizia. Qualcuno ha messo le proprie creazioni su OnlyFans e qualcun altro ha messo sé stesso su OnlyFans. I ragazzi hanno riabilitato la figura del Sex Worker, sono aperti a nuove sperimentazioni sessuali, sono liberi di essere poliamorosi, bisessuali, queer, di vivere apertamente sentimenti intensi e conoscono meglio di noi il mondo degli adulti. 

Ma. C'è un ma. Sono estremamente fragili. Le loro personalità eclettiche, singolari, originali sono eccezionalmente flessibili, ma si spezzano altrettanto facilmente. L'insicurezza, il cambiamento portato dall'adolescenza è stato acuito dai due anni di Covid, portando delle cicatrici invisibili a occhio nudo. La paura di restare soli, di essere inadeguati, di dire la cosa sbagliata e attirare l'attenzione su di sé terrorizza gran parte dei ragazzi più giovani. Molti di loro trovano rifugio nelle chiacchiere a tarda notte con amici online, ma qualcun altro non è così fortunato. Sentirsi soli, proprio ora che si avrebbe la possibilità di star bene con gli altri, implica un dolore doppio, di rinuncia e rimpianto. Ovvio, continuano ad esistere gli stronzi che mettono in giro pettegolezzi e malelingue, i bulli, le combriccole di ragazzine piene di sé con la puzza sotto il naso, come quelle che c'erano quando avevo 15 anni, ma adesso si offende su Tellonym. Per fortuna, non sono loro la maggior parte.

Cerchiamo di dar loro ascolto. Sono una grande risorsa e li stiamo abbandonando a sé stessi, tra genitori che sognano di diventare influencer e nonni che abbordano ragazzine su Facebook o su Subito.it. 

sabato 17 aprile 2021

DDL Zan, beneficenza e ipocrisia

 È recente la notizia di una ragazza di poco più di vent'anni cacciata di casa dalla famiglia a causa della sua omosessualità. L'intervento che andrete a leggere potrebbe portare dissenso, ma, come gli omosessuali non scelgono la propria natura, così io non scelgo di essere talvolta cinica e dire la mia, pane al pane e vino al vino.

Giudicare una persona per i propri gusti (sessuali, musicali, artistici, o di qualsiasi altro tipo) è sbagliato. Però succede. Ostracizzarla per lo stesso motivo è deplorevole. Però succede. Pretendere di cambiare gli altri è inutile. Però succede. Garantire la sicurezza dell'individuo è compito dello Stato e il DDL Zan (a seguito di una serie di episodi di violenza) può diventare un mezzo per farlo. Ora andiamo nello specifico.

Sono una ragazza, ho poco più di vent'anni. Intuisco, a livello teorico, che i miei genitori non siano illuminati sulla tematica LGBTQ+ perché, in vent'anni, magari qualche avvisaglia l'ho avuta. Un commento, una discussione su qualche personaggio pubblico, televisivo che sia. Decido, spontaneamente, di far partecipi questi due caproni del fatto che, liberamente, amo le donne. I due, di cui sopra, la prendono male, malissimo (come poteva essere prevedibile). Mi sbattono fuori di casa. Ho pensato MAGARI SE CAPITA ALLA LORO FIGLIA, IL LORO AMORE SARÀ PIÙ FORTE DEI LORO PREGIUDIZI. Invece no. Sono proprio di coccio. Mi insultano, mi dicono che non sarò più loro figlia e mi ritrovo senza un tetto sulla testa, senza possibilità di vivere dignitosamente in un altro posto. Senza pensare di poter chiedere asilo a un'amica, un vicino di casa, qualcuno insomma che capisse la situazione. Così, piuttosto che rivolgermi a canali come Caritas, Centri Antiviolenza o simili, qualcuno (una cugina?) decide di far partire una raccolta fondi. Premesso che la stessa cugina, magari, avrebbe potuto cercare un modo di ospitarmi o darmi delle garanzie diverse da un crowdfunding, decido di denunciare (e anche in sede di denuncia mi sarebbe stato detto di rivolgermi a servizi specifici) e raccontare tutto via social e alle Iene. 

Torno ad essere me per un momento e guardo la vicenda.

1. A cosa serve raccogliere dei soldi? Datele un lavoro, ospitatela a casa o datele un rifugio dal quale ricominciare.

2. Io che dono soldi per la causa, risolvo il problema? No. Magari mi sento in pace con la coscienza. Magari Malika potrà comprarsi da mangiare con quei soldi (che comunque potrebbe riuscire a mangiare anche senza i miei soldi). Una volta che avrà usato i miei soldi per mangiare, chessò, una settimana, avrò risolto il SUO problema? Perché Malika non è la prima omosessuale che viene maltrattata e sbattuta fuori di casa.

3. Tutti i soldi che sono stati raccolti per aiutare UNA persona, renderanno l'Italia un posto migliore? No.

4. Se io che le ho donato i soldi, domani perdo il lavoro e mi ritrovo in mezzo a una strada, dovrò fare un crowdfunding per cercare qualcuno che mi dia i suoi soldi e dare vita a un circolo vizioso in cui ognuno si basa sulla carità altrui per risolvere i propri problemi?

5. I genitori di Malika avranno cambiato opinione ora che lei ha raggiunto i 100.000 euro di raccolta fondi? Forse si, ma lo avrebbero fatto per i soldi. Forse no, e non avremmo comunque risolto il problema. 

6. Fossi Malika, userei questi soldi per una fondazione per le vittime di omofobia. Perché non ci debba essere più nessuna cugina che fa crowdfunding per tutelare la libertà degli individui.

Quindi arrivo al punto cruciale: fare coming out è una scelta. In quanto tale prevede rinunce e benefici. Io posso essere lesbica, vivere la mia vita nascondendomi dai miei genitori, ma preservando il diritto a vivere sotto lo stesso tetto, ad avere cibo caldo in tavola e una serie di garanzie che una famiglia (per quanto disfunzionale) possa dare. Posso altresì decidere di dire al mondo quali siano i miei gusti sessuali (che comunque al mondo dovrebbero fregare tanto poco quanto niente) e affrontare la gogna di chi, per mancanza di apertura mentale o semplicemente di intelligenza, empatia o istruzione, decide che non sia più degna del loro rispetto, affrontandone le conseguenze. 

Non si può cambiare un omosessuale. È nella natura dell'essere umano provare attrazione sessuale, indipendentemente dal destinatario di questa attrazione.

Non si può pretendere di cambiare un razzista o un omofobo. Si può punire il suo comportamento quando lede la libertà altrui. E, purtroppo, di questo DDL c'è bisogno, perché siamo in un paese dove la libertà di opinione è abusata al punto di diventare violenza. 

sabato 10 aprile 2021

Millennials

La cosa più sfortunata e Pericolosa che mè capitata nella vita
è la Vita,
che una vorta che nasci, giri... conosci... Intrallazzi...
ma dalla vita vivo nunne esci...
A. Mannarino
Oggi ho avuto la fortuna di chiacchierare un po' con Sarah, la coinquilina della mia migliore amica d'infanzia. Tutto è partito da una frase di quelle sui calendari giornalieri, una citazione su quanto sia inutile la propria esistenza se non mirata alla felicità degli altri. Il discorso è stato pregno di argomenti, voli pindarici dalla società, all'economia, al lavoro passando per l'autorealizzazione e il riscatto personale. Sono, così, giunta alla conclusione. I Millennials sono i figli di mezzo nella Terra di Mezzo. Siamo i figli di quelli che con un diploma o una qualifica hanno un contratto a tempo indeterminato, che insegnano, che gestiscono, arrabattandosi tra cose che non capiscono, le sorti di questo Paese. Siamo sotto quelli che IO ALLA TUA ETÀ AVEVO GIÀ UN LAVORO E UNA CASA ma che non sanno fare un Curriculum Vitae perché non ne hanno mai avuto bisogno. E non siamo mai abbastanza. 
Ma siamo anche quelli meno intraprendenti. Siamo quelli che studiano fino a 35 anni, che trovano un lavoro per arrotondare e spesso è quello che ci fa demoralizzare ancora di più. Non siamo la generazione Z, con le competenze e la faccia tosta per dire FACCIO PETI NEL MICROFONO E HO 10.000 FOLLOWERS. Perché la generazione Z ha meno di noi. È nella terra di nessuno, arida, senza prospettive, ma ha un grosso vantaggio: non ha niente da perdere. Si butta, ci prova, ci riprova, esce allo scoperto e grida il suo nome, mentre noi applaudiamo da dietro le finestre chiuse. 
I Millennials, in questo, l'hanno presa a quel posto da entrambe, da quelli che si sono ritrovati a vivere il periodo d'oro e lo hanno cavalcato senza saper leggere né scrivere e da quelli che, adesso, hanno i mezzi a disposizione per emergere anche senza averne le competenze. Ma non siamo tutti così. Ci sono diverse sfumature, ed è questo che ci frega. Siamo come la sinistra, frammentata, orientata in direzioni diverse. Ci sono i pre-Z che si sono buttati. Quando venivano derisi, svalutati, hanno proseguito a testa bassa e adesso continuano a combattere, ma hanno spalle più forti e resistono alle critiche e alle nuove generazioni che non li capiscono. Sono quelli i cui genitori non sanno spiegare che lavoro facciano i figli: informatici, mediatori, istruttori di yoga, youtuber, life-coach, social media manager. Poi ci sono quelli che hanno preferito regredire, le mamme pancine. Donne e uomini (perché una pancina ha sempre un pancino, poco importa se sia suo marito o casualmente sposato con un'altra) ai quali è bastato decidere di restare un passo indietro e fare della famiglia "tradizionale" il proprio status quo. Diploma, corso da estetista e giù a far figli prima dei 30 anni, perché vivono per i figli, per la famiglia, poco importa quanto disfunzionale sia. Sono quelli che hanno deciso che la vita andava vissuta fino ai vent'anni e che quello conosciuto in discoteca con Porsche potesse essere l'uomo della loro vita (poco importa se il Porsche fosse l'auto di rappresentanza dello zio assicuratore). Sono quelli che avere un figlio che appartiene alla comunità LGBTQ+ equivale ad avere una malattia, ma che allo stesso tempo vanno a trans il giovedì dopo il calcetto (perché in fondo sono pur sempre donne, ma con qualcosa in più). E che al trans, o all'amante, chiedono cose che non si possono chiedere alla moglie, perché lei non capirebbe. Perché la moglie, al liceo, si scandalizzava a sentir parlare di sesso orale, figurarsi chiederle pratiche più spinte. E poi, quelli con la moglie sono DOVERI. Il piacere è altrove.
E poi ci siamo noi. Quelli che non ne hanno mai abbastanza. Collezionano esperienze sul CV, aggiungono corsi, stage (rigorosamente non retribuiti), lavori più vari e non ne hanno abbastanza, perché per il mondo non sanno cosa vogliono. Invece noi lo sappiamo cosa vogliamo: vogliamo stare bene, trovare pace. Vogliamo qualcuno che si congratuli, che ci dica BRAVO, COSÌ VA BENE, che ci riconosca che siamo abbastanza. E non succede. Perché loro, gli altri, fanno sempre meglio. Quindi sai camminare sulle mani? Eh, ma gli altri sanno farlo su una mano sola. Sai scrivere i libri? Eh, ma gli altri ne hanno pubblicati 3 mentre tu riflettevi sul quel congiuntivo, poco importa se facciano cacare. Sai riconoscere il bene e il male? Eh, non ci interessa. Qua c'è bisogno di chi se ne frega, testa bassa e via, a raccogliere i pomodori per un cretino che in diretta li schiaccia sulla faccia del suo amico e fa tremila views in dieci minuti. 
Siamo quelli che non ce la faranno mai, finché qualcuno non ci verrà a dire OK, CE L'HAI FATTA al decimo giro oltre il traguardo. E, forse, per noi, non sarà comunque abbastanza.

venerdì 4 ottobre 2019

CRUSH

Ma quanto era bello dire IL TIPO CHE MI PIACE? LA RAGAZZA CHE MI FA BATTERE IL CUORE? HO UNA COTTA PER QUELLA PERSONA?

Ora diciamo CRUSH. Come se si preannunciasse già il rumore della porta del suo cuore che ti sbatte in faccia. CRUSH. È stato un incidente innamorarmi di te.

Ok, sto facendo la vecchia che non vuole stare al passo con i tempi, che critica il linguaggio dei giovani, che non vuole adeguarsi. Magari avete anche ragione, ma con i tempi che corrono, tempi in cui ci si preoccupa del ripieno dei tortellini, dei crocifissi nelle scuole (come ogni sei mesi/un anno), è importante preoccuparsi anche del linguaggio. Credo che ognuno possa riempirsi la pasta come gli piace e nel rispetto di ogni tradizione, culturale, religiosa e culinaria che sia (compresa la carbonara con la panna, purché smettiate di chiamarla carbonara, perché è un piatto diverso, come la parmigiana al forno o la pizza all'ananas). Credo che uno stato laico con un'istruzione laica obbligatoria dai 6 ai 18 anni debba garantire la libertà degli studenti di rivolgersi al proprio dio in sedi adeguate, e non all'interno di un'istituzione statale laica di formazione (sì, ho scritto LAICA più di una volta, serve a ribadire il concetto). Piuttosto mettiamo in ogni aula una bella foto del ministro dell'istruzione, cosicché tutti possano pregare di avere un servizio scolastico più efficiente e adeguato e si sappia chi bestemmiare quando cade un muro o si scassa una lavagna. Intanto che ci integriamo, però, conserviamo un minimo di identità italiana. Non di quell'identità stronza dello STATEVI A CASA VOSTRA, NON POSSIAMO ACCOGLIERVI TUTTI, CI RUBATE IL LAVORO, l'identità dei grandi poeti, di Dante Alighieri, di Guido Cavalcanti, di Giacomo Leopardi, di Dario Fo, l'identità di chi sa far parlare il cuore. Sa comunicare sentimenti e provocare empatia con l'uso delle parole, delle metafore, della lingua (e niente battute sconce su quest'ultima cosa). Torniamo a parlare di Amore, di Infatuazione, di Attrazione, anche di Sensualità, di Contatto, di Sbandate, torniamo a PERDERE LA TESTA PER QUALCUNO, a lasciarci trascinare in un turbinio di sensazioni non riassumibili in cinque lettere in inglese. E se poi quella porta dovesse chiudersi ugualmente, sapremmo almeno di averle dato la giusta rilevanza e di esserci emozionati come si deve.

venerdì 28 aprile 2017

Un caffè freddo

Come il buon Tony Vice mi fa notare, questo blog risulta essere un po' caduto in disuso. Il Nuovo Caffè nacque con l'intento di far riflettere, sorridere e riflettere nuovamente sul mondo che cambia, sulle nostre vecchie/nuove abitudini, sui fatti di costume che caratterizzano l'epoca in cui abbiamo la fortuna di abitare questo angolo di universo. Il tempo è tiranno, le priorità cambiano e un bel blog lascia il posto ai post impolverati e datati, presenti solo nelle ricerche di chi spera di trovare le cialde per la Mokona o qualche paio di tette, così, a gradire.
Spinta dal rimorso, mi sono rituffata davanti al pc ad aggiornare questo spazio a futura memoria dei navigatori della rete degli anni 2020. Stiamo vivendo un periodo burrascoso, non c'è che dire. L'America di Trump rifiuta di fare i conti con la crisi dei valori e degli ideali di vittoria sul resto del mondo al grido di Make America Great Again, un dittatore nordcoreano non ci sta a farsi mettere in ombra dal parrucchino più biondo degli Usa e prepara i missili nucleari per l'imminente attacco e dalla Siria si procede a spandere gas tossici nell'aria per avvelenare civili, per la maggior parte bambini. L'Italia ha un Presidente del Consiglio di un carisma che a confronto Gianni Letta è il Roberto Da Crema del nuovo millennio e ci prepariamo a nuove ondate di sbarchi sulle nostre coste, tra un'indagine di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina alle ONG e le dimissioni dei politici da nord a sud, da destra a sinistra (5 stelle inclusi) per associazione a delinquere e infiltrazione mafiosa. Intanto la gente continua a morire schiacciata dai ponti, dalle valanghe negli hotel, dai camion che asfaltano i ciclisti, dal mare agitato e dalla miseria.
Chi sono io per lamentarmi di tutto questo? Una persona come tante che si informa (e neanche con molta assiduità) e vive sulla pelle il disagio di quei falsi buonisti, dei IO NON SONO RAZZISTA PERÒ, di quelli che piuttosto che dire ciò che pensano si nascondono dietro i movimenti, le fazioni e poi alla fine una vera opinione non ce l'hanno.
Quindi arriviamo a qualcosa che più di tutto scatena la mia intolleranza e incide negativamente in questo particolare periodo della mia esistenza: le idiozie sui social network. Stiamo parlando di Padre Pio glitterati, di Tweety che augurano la buonanotte, di angioletti felici che è finalmente primavera e di caffè che fumano sulle bacheche dopo pranzo. Ragazzi miei, è un'invasione di stronzate. Ho un profilo promozionale che sto utilizzando solo per il mio libro e vi assicuro che non se ne esce. Esistono persone che augurano la Buonanotte con una luna sul mare e si incazzano se qualcuno non gli risponde.

Devo dire che già non avevo molte speranze nell'evoluzione umana, ma direi che a questo punto siamo arrivati proprio alla frutta. Anzi, al caffè. Freddo.

venerdì 29 luglio 2016

Sguinzagliate gli avvocati

…che ci sarà da ridere! Mi sono imbattuta in una signora che definire “populista” è un eufemismo. Avete presente quelli di “È una vergogna, fate girare!!111!!” su Facebook? Così. Tutto è cominciato durante una serata all’aria aperta, in piacevole compagnia, facendo due chiacchiere con persone che si incontrano per la prima volta. Il caldo, le mezze stagioni, il terrorismo, i migranti. Quest’ordine. Questo perché il terrorismo si fa argomento di quotidiano consumo proprio in relazione alle ondate migratorie. Non perché di terrorismo si parlava anche con le Brigate Rosse o con la strage di Bologna. I terroristi sono stranieri che vengono qua e vengono a piazzare le bombe. Quindi mi sorge spontanea una domanda: “Perché una donna all’ottavo mese di gravidanza dovrebbe attraversare il mediterraneo in condizioni precarie (su un gommone o peggio) per farsi esplodere proprio in Italia? Ma anche ammesso che non si faccia esplodere in Italia, perché dovrebbe mettere a rischio la sua stessa vita prima di arrivare a destinazione e farsi detonare in nome di qualche dio?”. La domanda è, ahimé, venuta fuori. Quindi si chiarisce che non è la quasi partoriente il problema, ma ciò che viene dopo. La futura mamma ha bisogno di cure, quelle cure che i nostri poveri non hanno. E lì mi parte un’altra domanda: “Di quali poveri stiamo parlando? Esiste davvero qualcuno che, in Italia, non ha la possibilità di dare un futuro al proprio figlio e decide ugualmente di metterlo al mondo? Perché, ricordiamo, in Italia c’è la possibilità di abortire, cosa che magari quella futura mamma nel suo Paese non ha avuto. E mettiamo che abbia ugualmente deciso di tenere il bambino, quale nazione impedirebbe ad un bambino di nascere in condizioni dignitose? Sullo Stato non metterei la mano sul fuoco, ma la nostra beneamata Chiesa a qualcosa serve, oltre che a vietare la comunione ai divorziati e ad impedire a persone dello stesso sesso di essere felici gli uni con gli altri.”. E lì è partita l’ignoranza, ma non è un modo di dire. “Una persona che conosco che lavora in un centro per i migranti mi ha detto che buttano le cose che gli danno da mangiare!”. Una persona non meglio identificata ha detto che qualcuno fa qualcosa: mh, precisione di cronaca che manco Studio Aperto. Allora, dall’altro della mia ignoranza dico: “E anche ammesso che sia vero, non è detto che tutti i migranti siano brave persone. Italiani esistono buoni ed esistono cattivi. Ugualmente gli stranieri. Tutto il mondo è paese. E (per ultimare la sagra dello stereotipo con una bella frase fatta) anche noi, negli anni 50, senza andare molto indietro, abbiamo fatto le nostre scorrettezze.”: La mia interlocutrice è sicura: “Ma non a questi livelli!”. Signora, mi scusi, non a questi livelli? Siamo andati in America e abbiamo portato la mafia. Non i pomodori sott’olio. Non le melanzane ripiene. La mafia. Quale sarebbe il livello di cui stiamo parlando? “Ma questi vengono e ci tolgono il lavoro a noi italiani! Mio marito lavora in campagna e non riesce a trovare un posto perché stanno tutti questi immigrati a lavorare!”. E la colpa è di chi dà un lavoro sottopagato a dei ragazzi che si accontentano. Perché un uomo che non ha niente, si accontenta di poco. “Ma anche noi non abbiamo niente! Siamo noi i poveri!”. E, prima che mi parta il vaffa matto e disperatissimo, mi limito a rispondere: “Signora cara, se foste poveri, suo marito non avrebbe quel cellulare in mano. Buona serata.”. Sono stata sostenuta, in questo discorso, da persone che ragionano e vanno oltre ciò che dice la televisione, Facebook e le voci di chi ha detto che ha sentito che qualcuno ha potuto dire o fare qualcosa chissà dove. L’essenza sta nella realtà, nei fatti. Il resto è solo rumore.

venerdì 17 giugno 2016

Il passato è un campo di addestramento. Storia di Lei

Ho vissuto.
Ho scritto una storia.
Questa storia sarebbe potuta diventare un libro.
Ho partecipato ad un concorso.
Ho vinto.
Mi hanno pubblicato il libro.
È uscito ufficialmente il 29 maggio.

Sembra una passeggiata detta così, ma nella realtà c'è molto di più. Ci sono emozioni contrastanti, gioia, timore, voglia di riscatto e paura di non farcela. C'è la frustrazione di un titolo diverso, i mille problemi su ciò che la gente penserà di me dopo averlo letto, le reazioni di chi si sente chiamato in causa. Tutto questo sommerso, però, ne vale la pena. Condividere il racconto con delle persone è la cosa più rilassante che mi sia mai capitata. Mi ha aiutata a spogliare il romanzo dei significati personali che gli avevo attribuito e a farlo diventare qualcosa di nuovo. Mi ha fatto capire che ho un mio stile di scrittura che è cambiato nel tempo, ho un genere che mi scorre nelle vene e viene fuori quasi senza volere, ho storie da raccontare e cose da dire che qualcuno paga per poter leggere e nessuno vuole che mi fermi. Facile a dirsi. Come si può fare qualcosa di così bello, nato da qualcosa di altrettanto bello, ma letale senza sentirsi ridondanti? Senza che nella testa mi tornino le stesse frasi, gli stessi "Lui che mio non è mai stato", le stesse storie tristi? Si può, certo. Con l'esercizio, come Paolo. Lui è alla sua ennesima pubblicazione e il metodo con cui scrive mi fa pensare che forse meritasse di vincere più di me, perché l'esercizio va premiato più dell'ispirazione (forse). O forse non è così, forse scrivere seguendo dei ritmi, delle cadenze narrative, dei modi, dei tempi, delle regole limita l'essenza della scrittura stessa. Credo più a questa ipotesi, per ciò che mi riguarda. Scrivere è libertà di dire, di pensare, sognare, immaginare, libertà di fare finta. È in questo che tutto prende forma e senso, nella possibilità di essere dove vuoi, come e quando vuoi senza muoverti dalla scrivania. Potrei parlare di mondi fantastici, di draghi e principesse, sognare Narnia o la Terra di Mezzo, chi me lo impedirebbe? La mia scrittura, il mio stile è questo. Estremo a volte. Altre noioso, ripetitivo, ma è mio. Se piace, piace. Altrimenti non comprate il mio libro.

Per inciso, è un noir erotico. Niente draghi.